In questo post, Cristina, vi racconteremo la storia dello smarrimento del proprio gatto Neo.
Neo è un gatto maschio castrato di 6 anni, smarritosi a causa dell’aggressione di un cane.
Vi riportiamo esattamente il racconto scritto da Cristina poiché la sua esperienza possa aiutare altre persone nella sua situazione.
Questa è una storia a lieto fine, ma non ha importanza saperlo già, perché quel che conta è tutto ciò che è accaduto in mezzo.
Era il 20 Giugno sera, un caldo infernale a Bologna e Neo, il mio gatto di 6 anni, soffriva visibilmente dentro l’appartamento in cui ci eravamo trasferiti da poco, senza la possibilità di uscire liberamente come era abituato nella casa dove era cresciuto. Avevo pensato di dargli un po’ di sollievo portandolo a prendere del fresco nel parco vicino casa, come già avevo fatto altre volte, attrezzata con guinzaglio e imbragatura per tenerlo sotto controllo. Non sapevo che i gatti in realtà ‘scelgono’ di farsi tenere al guinzaglio, perché possono sfilarsi quando vogliono. L’ho scoperto quella sera, ahimè o per fortuna, quando un cane di grossa taglia, lasciato libero di girare senza guinzaglio né museruola, gli si è fiondato addosso per azzannarlo: in una frazione di secondo Neo si è sfilato dall’imbragatura ed è andato a nascondersi sotto la base di una giostra in disuso, dove il cane non è riuscito ad infilare il suo musone.
La sua scaltrezza gli ha salvato la vita, e ne sono rimasta colpita, ma dopo averlo chiamato tante volte ho dovuto rassegnarmi a tornare a casa con il guinzaglio vuoto in mano. Non potevo credere a quello che era successo, ero come in trance. Sentivo che era ancora in zona e questo mi ha dato la forza di tornare nel parco a cercarlo tutte le mattine e tutte le sere nella due settimane seguenti. Ma era una ricerca alla cieca, fatta senza un criterio e con pochissime probabilità di successo. Stavo iniziando a perdere le speranze e sempre più spesso mi abbandonavo al pianto inconsolabile. Grazie al sostegno di qualche amica avevo distribuito degli avvisi in tutta la zona, con la foto e la descrizione di Neo, e così nelle oasi feline della città e nei veterinari della zona. Ma non chiamava mai nessuno…
Un pomeriggio, a due settimane dal fatto, ho ricevuto un SMS da un numero sconosciuto che mi invitava a rivolgermi a Pet Detective, un servizio per la ricerca di animali smarriti. Il nome mi sembrava uno scherzo e pensavo si trattasse solo di qualcuno che voleva spillarmi dei soldi in un momento di debolezza. È stata la disperazione che mi ha spinto a visitare quel sito web, ma subito mi sono resa conto che si trattava di una cosa seria e ben fatta. Soprattutto, il costo del servizio era del tutto accettabile per avere quantomeno una speranza in più di ritrovare il mio amore peloso. Ho telefonato a quel numero e dall’altra parte mi ha risposto un voce rassicurante ed accogliente, che mi ha mostrato tanta comprensione per la mia sofferenza e grande disponibilità e competenza per aiutarmi. A quel punto non ho avuto neanche bisogno di decidere.
È stato così che ho iniziato a sentire tutti i giorni Angelo, il responsabile Pet Detective dell’Emilia Romagna. Angelo risponde al telefono a tutte le ore, non so come faccia… La sua prima telefonata mi è arrivata alle 23.00 del primo giorno, non appena fatta l’iscrizione, ed è durata mezz’ora, con la spiegazione di tutto quello che avrei dovuto fare nella ricognizione di quella sera. Ma, cosa più importante, mi ha rassicurato sul fatto che avevo ancora possibilità di trovarlo e questo mi ha dato una sferzata di energia.
Angelo mi ha costretta a tirarmi su, tornare ad uscire tutte le sere, quando ormai non ne avevo più le forze, e mettermi a cercare nel modo giusto: con la torcia, sbirciando in ogni anfratto, posizionando le ciotole in punti strategici, senza chiamarlo ma mettendomi in ascolto. Sera dopo sera, cercando in giro, i miei sensi si sono affinati: rumori, odori, versi di animali, movimenti impercettibili della natura, tutto è diventato più vivido alla mia percezione. E ho iniziato a vedere cose nuove. Ho incrociato dei dolcissimi ricci (mai visti prima!), ho tirato su un uccellino caduto dal nido e ho passato in ricognizione tutti i gatti abituali delle zone che ho perlustrato: occhi di spirito che riflettono nella notte la luce della torcia. “Prima o poi saranno quelli di Neo…” pensavo.
Poco dopo sono arrivati i poster ad alta visibilità, 10 in tutto, grandi e impossibili da non notare. Angelo mi ha indicato su Google Maps dove posizionarli e mi ha aiutato a scegliere la foto migliore e la descrizione più adatta. Da quel momento è iniziata la vera avventura: già dopo mezz’ora sono arrivate le prime due telefonate. Non mi sembrava vero! Due settimane senza nessuno che si accorgesse dei miei avvisi in A4 (se non per strapparli via dai muri) e adesso c’era chi mi chiamava immediatamente! Mi sono riempita di speranza.
È partita da quel giorno una gara di solidarietà che mi ha letteralmente spiazzata. Tante segnalazioni di gatti che, ho scoperto dopo dalle foto e dai video ricevuti, erano solo molto simili al mio. Non pensavo ci fossero lì intorno tanti felini come Neo…ma lui è inconfondibile, ha la coda storta, rotta in due punti, e quel particolare mi ha aiutato a scartare la maggior parte delle segnalazioni. Non aveva comunque importanza che non fosse lui: sapevo che la gente adesso era informata e che osservava, pronta a chiamare al primo avvistamento di gatto ‘sospetto’. E questo mi ha dato fiducia e la tranquillità di pensare che, se era in zona, prima o poi qualcuno lo avrebbe notato.
Fra i tanti messaggi ricevuti alcuni sono stati di semplice solidarietà: persone che hanno voluto farmi sapere quanto capivano la mia sofferenza, o perché ci sono passate o perché hanno degli animali che amano; altre che mi hanno informato sui siti in cui pubblicare l’avviso o che si sono rese disponibili a diffondere l’annuncio su FB a tutta la propria rete. Molte persone, in strada, mi hanno ascoltato e hanno messo in tasca il mio volantino, altre mi hanno addirittura aperto le porte delle loro case per offrirmi qualcosa. Quanto calore mi è arrivato! Così tanto che sono arrivata a pensare che, comunque fosse andata, sarebbe stata un’esperienza positiva. Un episodio doloroso per me si è trasformato in un’avventura ricca di sorprese, di cui la più grande è stata scoprire il lato bello dell’umanità, quello della solidarietà gratuita di chi spende anche solo un minuto del proprio tempo per cercare il tuo numero e scriverti o chiamarti, pur senza conoscerti.
L’episodio più toccante è stato quello di Reda, un ragazzo extra-comunitario che vedevo tutte le sere dormire infilato tra gli scatoloni, nello spazio ristretto fra una panchina e la parete di una chiesa. Reda è in attesa di ottenere l’asilo politico ed ha visto chissà quali atrocità, se preferisce dormire per strada piuttosto che tornare al suo paese. Eppure una mattina si è preso il disturbo di farsi prestare il telefono da un conoscente per avvisarmi di aver visto passare un gatto come il mio, e poi al pomeriggio, da un altro numero, mandarmi un video dello stesso gatto avvistato alla mattina. Ho pensato che Reda volesse una ricompensa e, quando alla sera sono andata a trovarlo, gli ho chiesto di cosa avesse bisogno, se di cibo, vestiti o soldi. La sua risposta è stata perentoria: “Niente, niente. Non mi serve niente. Sono a posto così!”, la frase accompagnata da un secco movimento delle braccia per sottolineare il suo rifiuto. Una dignità incredibile. E uno sguardo carico di sofferenza e di umanità. Mi sento ridicola di fronte a lui con la mia storia del gatto. L’aver subito una disgrazia enorme può rendere alcune persone dure, diffidenti, convinte che nessun altro dolore sia paragonabile al loro. Ma la sofferenza che ciascuno attraversa, nelle varie fasi della vita, è la più grande che possa sopportare in quel momento e non può essere messa a confronto con quella di chi sta peggio. Reda è una di quelle persone che il dolore ha reso più sensibili, attente, desiderose di aiutare gli altri. Il suo sguardo mi ha segnata dentro e non mi dimenticherò di lui…
Angelo ha condiviso con me anche questa esperienza, sempre disponibile ad ascoltare tutti i miei resoconti e sempre pronto a dirigere i miei movimenti da dietro le quinte. Non sentirlo anche solo per un giorno mi metteva l’ansia, un padre acquisito per me. Un giorno mi sono fatta prendere dalla sfiducia e sono scoppiata a piangere mentre ero al telefono con lui. “Pure questa gli tocca sentire!” ho pensato. Eppure lui mi ha ascoltata come pochi uomini saprebbero fare, senza cercare di consolarmi o darmi false speranze, ma semplicemente facendomi arrivare tutta la sua comprensione per quello che provavo.
E così siamo andati avanti, insieme giorno dopo giorno (sabati e domeniche inclusi) in questa avventura disperata e sfiancante. Inutile dire che la mia vita sociale è stata azzerata in quelle settimane. Il pensiero di Neo era una costante, come sa bene chi mi ha incrociato in quei giorni, compresi i clienti di lavoro. Avevo anche iniziato a parlargli col pensiero, nella convinzione che in qualche modo potesse arrivargli qualcosa. Un pomeriggio, dopo l’ennesimo giro a vuoto, mi sono ritrovata ad implorarlo a distanza di farsi avvicinare da qualcuno, qualcuno di bravo che poi mi avrebbe chiamato. Quella sera, distrutta, avevo deciso per una volta di saltare il giro notturno e mi ero concessa di prepararmi una cena decente. Stavo per sedermi a tavola quando ho ricevuto una chiamata: una signora che abita a due isolati da me, una veterinaria, lo aveva visto passare poco prima e gli aveva fatto alcune foto. Me le ha mandate, erano scure e sfocate ma la mia sensazione è stata netta: era lui! Riconoscevo il pelo, l’atteggiamento, intravedevo fra le ombre la codina storta. Bravo amore, bravo amore mio, hai fatto quello che ti avevo chiesto!
Mi sono catapultata in strada, addio cena decente, ed ho chiamato subito Angelo, il quale per prima cosa mi ha fatto rinsavire. E per seconda mi ha costretto a richiamare in strada la signora per farmi spiegare il punto esatto dell’avvistamento. Ma non bastava sapere la zona?? dicevo io. No, non bastava, perché fra le tante ciotoline sparse che ho distribuito in quelle settimane, una sola è stata mangiata, quella posizionata esattamente in quel giardino da cui il gatto era stato visto uscire. Non ci sono parole per descrivere la gioia provata al mattino dopo, quando ho trovato la ciotola svuotata. La speranza è diventata una quasi certezza e la sconforto non si è più affacciato neanche per un momento. Ciotoline svuotate sera dopo sera, per una settimana: se Neo era lì, di sicuro non sarebbe morto di fame. Quel gatto grigio, avvistato la sera del 13 luglio, aveva imparato che in quel punto poteva trovare da mangiare.
Una delle ultime sere, mentre ero al telefono con Angelo, ho sentito il pianto di un gatto arrivare da poco lontano. Ho interrotto la chiamata e mi sono messa in ascolto: altri tre miagolii di lamento, netti, inconfondibili. Sono rimasta mezz’ora ad aspettare e poi più niente, mi sono rassegnata a tornare a casa. Non ero certa che fosse la sua voce, ma quella sera ho sentito per tutto il tempo una stretta al cuore: se era lui, piangeva e non stava bene…
Per assicurarci che fosse Neo, come da procedura prevista per i ritrovamenti, Angelo è intervenuto personalmente per posizionare una videocamera a raggi infrarossi puntata sulla ciotolina, dotata di sensore di movimento per attivarsi solo quando necessario. La prima sera è andata buca, era stata puntata male. La seconda sera sono stati registrati oltre una trentina di video, ma niente. Angelo iniziava a temere di aver fatto un buco nell’acqua, mentre io, speranzosa, attendevo a distanza il suo riscontro. Finalmente arriva l’ultimo, ultimissimo video, ed è quello buono: si vede chiaramente la sua sagoma, la sua codina storta, e per un attimo l’obiettivo inquadra il suo bel musino e gli occhi vispi. Centro! Quando vedo il video che Angelo mi ha inviato, d’improvviso tutta la tensione si scioglie in un pianto di felicità. Con discrezione Angelo mi saluta per lasciarmi da sola a dar sfogo a tutta la tensione accumulata. Singhiozzi di gioia pura.
Ora si tratta solo di trovarlo. Non resisto alla tentazione di avvisare tutti gli amici, ma ho sempre il timore di stare vendendo la pelle dell’orso (o del gatto?) prima di averlo catturato. Nel frattempo mi sono procurata una gabbietta a scatto, e Angelo mi ha messo in guardia sul fatto che questa è la fase più delicata, quella in cui non si può sbagliare, pena il rischio che l’animale si spaventi e non torni più. Sono pronta psicologicamente a passare una nottata in macchina, appostata, e studio fra i parcheggi della zona quello migliore in cui posizionarmi.
È il 21 Luglio, un mese esatto dallo smarrimento. Quella sera esco con svogliatezza, ormai lo abbiamo beccato, io sono stanchissima e devo preservare le energie per l’indomani, quando piazzeremo la gabbietta. Angelo mi ha chiesto di fare un giretto tanto per controllare lo stato dei croccantini e della videocamera che ha posizionato per quella notte. Mi aggiro per la strada, solito posto, solito orario. Tanto per passare il tempo chiamo Angelo e come sempre stiamo mezz’ora al telefono. Ad un tratto lo interrompo: sento un miagolio… Stavolta non butto giù, ma taccio. Angelo al telefono mi guida passo passo. I miagolii si ripetono, sono lamenti, è un gattino che piange da qualche parte, sembra voglia attirare la mia attenzione. Seguo il richiamo e mi avvicino al giardino di una casa. Lo sento sempre più vicino, sbircio fra i cespugli oltre il muretto, metto a fuoco, vedo qualcosa che si muove, vedo una gatto, è grigio, è fermo davanti a me. È Neo!!!
“Angelo è lui!” grido sottovoce. Angelo mi invita a stare calma: non devo trasmettergli agitazione, non devo chiamarlo, non devo pretendere di prenderlo né tantomeno che si avvicini. Inizio a parlargli pacatamente, seguendo le istruzioni, faccio come se fossimo a casa. Lo chiamo “amore” e nel mio tono c’è allegria, affetto, dolcezza. Lui mi risponde ad ogni parola e iniziamo un lungo discorso in cui ci diciamo tante cose, cose che in italiano non saprei tradurre… Piano piano mi sposto verso il cancello, e lui si sposta lentamente con me. Ma il cancello è chiuso e non so come aprirlo. Riesco ad infilare il braccio dall’altro lato e lui si avvicina, si lascia accarezzare la testolina. È smagrito, povero, ha il viso scavato. “Angelo non so come fare, non posso scavalcare il cancello!”. “Non fare nulla!” mi risponde lui. Io e Neo restiamo un attimo in silenzio a guardarci. Un attimo infinito che separa la paura dalla gioia. Finché l’iniziativa la prende lui: spicca un salto e sale sul muretto, lo scavalca e viene accanto a me. “Adesso è qui, ce l’ho di fianco ai miei piedi!”. Vedo che Neo mi resta vicino, si aspetta qualcosa da me. Mi chino e lo afferro delicatamente. Lui si fa raccogliere senza problemi, come se ci fossimo visti il giorno prima. È leggero come una piuma, la prima cosa che noto. Poi sento il suo calore sul mio petto, la sensazione morbida del suo pelo sulla pelle e nelle narici il suo odore forte, come di chi dorme in strada. Per un attimo mi viene in mente Reda…
Angelo è lì con me, dall’altra parte della cornetta, felice e più incredulo di me. Sta seguendo tutta la vicenda in diretta, e la sua presenza si rivela fondamentale per impedirmi di commettere qualche errore fatale. Solo il giorno dopo mi svelerà che un ritrovamento del genere, in cui il gatto va incontro al suo padrone, è un caso estremamente raro quando l’animale ha subito un trauma così grande. Per me è stato come entrare improvvisamente in un sogno, o ritrovarmi protagonista di una favola meravigliosa. Ora ho la certezza che lui mi ama e che in qualche modo, da qualche parte dell’universo, ci apparteniamo. E se è vero che gli animali domestici talvolta sono maestri spirituali, incarnati per insegnarci qualcosa di grande, dopo questa esperienza so che non sarò più la stessa. Ho cercato un’ombra nella notte, ho cercato un ago nel pagliaio, ma ci ho creduto con tutte le mie forze. Ed ho trovato.
Mi avvio in direzione di casa, Neo sembra tranquillo, si guarda intorno, è solo un po’ spaventato dalle rare macchine che passano, ma fra le mie braccia sembra a suo agio. Inizio piano piano a riempirlo di baci e lui sembra non disdegnare affatto. Non tenta di divincolarsi nemmeno quando cerco le chiavi per aprire il portone, nemmeno quando entriamo in ascensore. Solo alla fine, quando apro la porta di casa, si libera dalla stretta e si lancia verso il corridoio. Inizia ad esplorare la casa, quella casa che non gli è ancora del tutto familiare, ma che comunque è la sua. Lui ce l’ha, una casa, e adesso ci è tornato. Per riempirla con tutto il suo amore e la sua tenerezza.
Il racconto potrebbe continuare, ma rischierebbe di diventare noioso: tutto il resto è gioia.
Cristina C.